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Per comprendere la sentenza in commento, occorre premettere che i licenziamenti collettivi sono disciplinati dalla l. 23 luglio 1991 n. 223/1991; con questa legge viene recepita una direttiva europea che detta regole comuni a tutti gli Stati membri inerenti taluni oneri, soprattutto procedurali, a carico dei datori di lavoro che vogliano ridurre il personale, nei termini che vedremo.
Su impulso della Corte di giustizia UE l’ art. 24, l. 223/1991, è stato modificato, prevedendo che gli stessi oneri procedurali previsti a carico del datore di lavoro che voglia licenziare operai, impiegati o quadri si applichino anche in relazione ai licenziamenti di dirigenti, che prima erano ingiustamente esclusi dall’ambito di tutela della legge. Oneri che comprendono, tra gli altri, quello di comunicare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo, specificandone le ragioni e indicando il personale interessato, quello di consultare le organizzazioni sindacali, quello di applicare criteri di scelta oggettivi per selezionare il personale in eccedenza. L’obbligo di avviare una procedura di licenziamento collettivo oggi vige perciò ogni qual volta un datore intenda licenziare nell’arco di 120 giorni almeno 5 lavoratori, dirigenti inclusi. La legge prevede inoltre che i sindacati dei dirigenti debbano essere consultati alle stesse condizioni degli altri, anche in appositi incontri.
La sentenza in commento trae origine dai fatti che si riassumono sommariamente.
Una società in crisi decideva di fare ricorso alla Cigs per tutti i suoi dipendenti. Restavano esclusi solo i due dirigenti, per i quali la cassa integrazione non è applicabile: essi continuavano perciò a prestare opera attivamente.
Al termine del periodo di Cgis, nel novembre 2016, l’azienda comunicava alle organizzazioni sindacali di non poter utilmente reimpiegare il personale che era stato sospeso e di voler di cessare l’attività, licenziando tutti i dipendenti entro il 30 aprile 2017. Tale comunicazione veniva trasmessa alle organizzazioni sindacali di operai, impiegati e quadri (e alla rappresentanza aziendale); ma non veniva trasmessa al sindacato dei dirigenti, pur firmatario di un contratto collettivo applicato in azienda.
Nei mesi successivi dando seguito all’accordo raggiunto con i sindacati del personale non dirigenziale, la società licenziava progressivamente i lavoratori (oppure ne cedeva i rapporti di lavoro entro operazioni di trasferimento di rami d’azienda). Rimanevano in forza solo i due dirigenti che, nell’aprile 2017, venivano licenziati per giustificato motivo oggettivo. Attraverso atti di recesso che l’azienda qualificava come licenziamenti individuali, estranei alla procedura di licenziamento collettivo di cui si è detto.
Uno dei dirigenti, assistito da Legalilavoro Firenze, impugnava il licenziamento, sostenendo l’illegittimità. Il recesso era infatti riconducibile alla procedura di riduzione del personale adottata dall’azienda, procedura che però era stata violata nella misura in cui era stata condotta escludendo del tutto il sindacato dei dirigenti cui egli era iscritto.
In giudizio, la società si difendeva principalmente sulla base di due argomenti, che vale la pena riassumere. In primo luogo la società non aveva posto in essere un licenziamento collettivo, ma una procedura di riduzione del solo personale precedentemente sospeso per Cassa integrazione (fattispecie, questa, spesso chiamata “mobilità”, disciplinata dall’art. 4, l. 223/1991, che tuttora non fa alcun riferimento ai dirigenti e che quindi non prevede il coinvolgimento dei sindacati degli stessi). In secondo luogo la comunicazione di avvio della procedura era stata trasmessa alla rappresentanza sindacale unitaria dell’azienda; tale adempimento sarebbe stato da considerarsi sufficiente, anche nei confronti dei dirigenti, al fine di assolvere l’onere informativo nei confronti dei rappresentanti sindacali. Le argomentazioni del datore di lavoro venivano accolte in primo grado.
La sentenza veniva però ribaltata dalla Corte d’appello di Firenze, che dichiarava l’illegittimità del licenziamento. La Corte riteneva fondati i motivi di appello del dirigente, in riferimento al primo degli argomenti sopra citati. La Corte rilevava che, nella disciplina europea relativa ai licenziamenti collettivi, non vi è traccia di una distinzione tra licenziamenti intimati all’esito di una sospensione dell’attività produttiva (come la Cigs) e licenziamenti invece disposti senza una tale previa sospensione. Di conseguenza dare rilievo a una simile distinzione, ai fini dell’applicazione della procedura consultiva delle organizzazioni sindacali, implicherebbe una illegittima limitazione delle garanzie previste dalla direttiva europea in confronto di alcuni lavoratori, che la legge italiana deve invece assicurare. La legge italiana deve perciò essere interpretata nel senso che le aziende debbano rispettare gli oneri procedurali cui si è già accennato ogni qual volta esse pongano in essere una serie di licenziamenti che la Direttiva qualifichi come collettivi: ciò che di fatto era avvenuto nel caso di specie.
Quanto al secondo punto, ancora una volta in adesione alle difese del lavoratore, la Corte rilevava come gli oneri procedurali previsti dalla l. 223/1991 con riferimento ai dirigenti sarebbero frustrati e sostanzialmente inefficaci se ai datori bastasse informare le rappresentanze sindacali di operai, impiegati e quadri, senza direttamente coinvolgere (anche) i sindacati dei dirigenti. Viene ribadito che per questi ultimi la legge prevede anche lo svolgimento di appositi incontri.
La Corte d’Appello dichiarava pertanto illegittimo il licenziamento, con conseguente condanna risarcitoria a carico dell’azienda.
La sentenza veniva infine impugnata dinanzi alla Cassazione. La Corte, con pronuncia consultabile in calce, rigetta tuttavia il ricorso del datore di lavoro e conferma la correttezza della decisione d’appello. Chiarisce infatti che «in tutti i casi di licenziamento collettivo dette procedure di informazione e consultazione si devono applicare anche ai dirigenti; a tale obbligo l’impresa che intenda procedere a licenziamento collettivo anche di dirigenti deve attenersi, informando e consultando le loro rappresentanze, tanto nei casi di licenziamenti collettivi per riduzione del personale quanto nei casi di licenziamenti collettivi post-mobilità».
a cura di Massimo Rusconi
Legalilavoro Firenze
(Cass. 30 luglio 2024 n. 21299)
Parole chiave: criteri di scelta , Dirigenti , Licenziamenti , Sindacato , Unione europea