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Il "periodo di comporto" consiste in un lasso di tempo, individuato dalla contrattazione collettiva, in cui il lavoratore assente per malattia ha il diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. Il licenziamento intimato ad un dipendente prima della scadenza di questo limite di tollerabilità dell’assenza è illegittimo. L’art. 2110 c.c. prevede infatti che «l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto [soltanto] decorso il periodo stabilito» dal contratto collettivo.
Occorre tuttavia chiedersi quale sia la sanzione applicabile al datore di lavoro che licenzi senza rispettare il decorso di tale termine: il semplice indennizzo o la reintegrazione del lavoratore ingiustamente estromesso?
Nessun problema si pone per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015: l'art. 18 dello Statuto dispone infatti che si applichi la reintegrazione.
Diversamente dallo Statuto, nel Jobs Act, applicabile ai lavoratori assunti a partire dal marzo 2015 con "contratto di lavoro a tutele crescenti", non è esplicitamente prevista l'ipotesi della violazione del periodo di conservazione del posto.
Alla luce di questo dubbio interpretativo, un lavoratore assunto in regime Job Act e licenziato prima della scadenza del periodo di comporto si rivolgeva a Legalilavoro Bologna; in primo grado il giudice aveva accertato l’illegittimità del licenziamento senza però condannare la Società alla reintegrazione, ma al pagamento della semplice indennità (corrispondente a 12 mensilità).
Legalilavoro Bologna decideva allora di proporre appello contro la sentenza di primo grado sostenendo come, anche in regime di Jobs Act, il datore di lavoro che licenzi prima della scadenza del periodo di conservazione del posto debba essere condannato alla reintegrazione. Fondava tale richiesta sul fatto che l’art. 2110 c.c. era stato considerato norma imperativa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e pertanto gli atti compiuti in sua violazioni dovevano essere ritenuti nulli. Conseguentemente, l’ipotesi della violazione del periodo di comporto doveva ritenersi rientrare a pieno titolo tra gli «altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge» indicati dal Jobs Act.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 5 agosto 2022, accoglie le ragioni del lavoratore, disponendone la reintegrazione in azienda e condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni dal licenziamento alla reintegra (oltre 4 anni di retribuzioni arretrate).
a cura di Eugenia Tarini
Legalilavoro Bologna
( A. Torino 5 agosto 2022)
Parole chiave: comporto , Licenziamenti