Legittimità dell'appalto di manodopera

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Una rassegna degli indici per la verifica della genuinità di un appalto di manodopera in una recente sentenza del Tribunale di Catania

Il Tribunale di Catania, con la sentenza del 4 novembre consultabile al termine del documento, compie una articolata ed esaustiva disamina degli elementi che connotano l’appalto illecito di manodopera.

In particolare, la pronuncia in commento si sofferma su diversi aspetti della fattispecie al suo vaglio, non sempre compiutamente considerati dalle corti di merito.
Il giudizio era stato introdotto da circa novanta lavoratori, assistiti da Legalilavoro Napoli, i quali erano rientrati nella platea di soggetti ceduti, ai sensi dell’art. 2112 c.c., da una società cedente ad una società cessionaria.

Nel caso di specie la cedente aveva conferito in appalto alla cessionaria alcuni servizi di customer care.

La legittimità della cessione non era stata impugnata dai ricorrenti, ma da altri colleghi che avevano ottenuto pronunce che rilevavano il difetto di autonomia del ramo ceduto (e dunque l’illegittimità del trasferimento).

A questo punto i lavoratori ceduti ed impiegati in tale commessa lamentavano una illegittima interposizione di manodopera, chiedendo dichiararsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la committente/interponente.

Anzitutto, il giudice procede ad un interessante parallelo tra la verifica della legittimità dell’appalto illecito ex art. 29 D.Lgs. 276/2003 e quella della cessione di ramo di azienda ex art. 2112 c.c.

In particolare, precisa che: «se è vero che la verifica della genuinità del contratto di appalto concluso tra la resistente e [omissis] va distinta dalla verifica della legittimità della cessione del ramo di azienda, è anche vero che l’accertamento della insussistenza di un legittimo trasferimento di azienda per difetto di autonomia del ramo ceduto e impossibilità per il cessionario di eseguire la prestazione (in quanto predeterminata dall'uso di applicativi di proprietà della cedente) mediante una propria organizzazione autonoma, come accertato nelle citate plurime sentenze, in difetto di prova di elementi di novità introdotti dal contratto di appalto stipulato (come provato in atti), permette di trarre ulteriori elementi di prova ai fini della verifica della fondatezza della domanda proposta dai ricorrenti».

Dunque, pur essendo le due fattispecie assolutamente differenti, della dichiarata illegittimità della cessione per difetto di autonomia del ramo ceduto ben potrà tenersi conto nel giudizio sulla legittimità dell’appalto intervenuto tra cedente e cessionario, quanto meno ai fini dell’individuazione di elementi di prova.

Il Tribunale catanese, dando seguito alla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (citando Cass. 12551/2020), prosegue ritenendo che vi sia genuinità dell’appalto a condizione «che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, lo “intuitus personae" nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro».

Da tali, pacifiche, considerazioni, il Tribunale approda poi ad un’ulteriore, interessante conclusione (citando Cass. 15557/2019): «l'appalto di servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore”, previsto dall'art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, si traduca in una prestazione svolta con organizzazione e gestione autonoma dell'appaltatore, senza che l’appaltante, al di là del mero controllo sull’esecuzione della stessa prestazione, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell'appaltatore».

E nel caso di specie, dove il servizio è reso grazie a complessi sistemi applicativi messi a disposizione della committente, compete all’appaltatore l’organizzazione dei predetti mezzi: in particolare, l’appaltatore è tenuto ad esercitare il proprio potere direttivo e di controllo sia in ordine all’utilizzo dei mezzi sia nei confronti dei propri lavoratori.

Dunque, secondo il giudice siciliano, è astrattamente ammissibile la genuinità di un appalto con applicativi forniti dalla committenza, a condizione che l’appaltatore eserciti poteri direttivo e di controllo anche in merito all’utilizzo degli stessi.

Nel caso di specie, alla luce dell’ampia istruttoria (documentale e testimoniale) svolta, è stata ritenuta la non genuinità dell’appalto per difetto di una piena autonomia gestionale dell’appaltatore nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e tempi di lavoro, essendo risultato il committente il soggetto che esercitava il potere di programmazione ed organizzazione delle attività svolte dai dipendenti dell’appaltatore, stabilendone le priorità.

In sostanza, a giudizio del Tribunale, il committente non si limitava (come avrebbe dovuto fare) ad esercitare poteri di direzione e controllo rispetto ai risultati delle attività oggetto di appalto, ma dettava le modalità dell’attività stessa: imponendo direttamente ai dipendenti dell’appaltatore direttive specifiche; elaborando loro profili di rendimento; assegnandogli mansioni, a suo giudizio, compatibili con tali profili; addirittura affiancando gli operatori dipendenti dall’appaltatore con personale proprio al fine di valutarne il rendimento; stabilendo i volumi di lavoro e le priorità; autorizzando ferie e permessi; mettendo a disposizione (come detto) dell’appaltatore gli indispensabili strumenti applicativi.

Su tale ultimo punto, la sentenza, ribadendo che «se è vero che a seguito della modifica di cui all’art. 29 del d.lgs n. 276/2003 non rileva ai fini presuntivi della illiceità dell’appalto la proprietà di attrezzature e macchinari in capo al committente, è pur vero che in detta ipotesi compete all’appaltatore l’organizzazione degli stessi al fine di conseguire un risultato produttivo autonomo», ritiene tuttavia accertato che il personale dell’appaltatore non avesse alcun margine di autonomia nell’uso dei sistemi applicativi che, peraltro, dovevano essere utilizzati nel rispetto di dettagliate procedure individuate nei manuali “virtuali” consultabili tramite un applicativo dedicato, procedure aggiornate periodicamente dalla committenza e in ordine alle quali non sussisteva alcun potere di controllo o modificativo dell’appaltatore.
Da tanto, conclude la pronuncia in commento, discende che le attività svolte dai lavoratori trasferiti avevano natura meramente operativa e consistevano nell’espletamento di procedure amministrative e tecniche interamente predefinite in modo vincolante da parte delle strutture del committente, mediante piattaforma ed applicativi informatici di proprietà della stessa, alla quale era riservata la relativa gestione.

Inoltre, in difetto dei predetti applicativi e delle costanti direttive provenienti dalla committenza in ordine all’attività da fornire ai clienti della stessa, il personale dell’appaltatore, pur organizzato dallo stesso, non sarebbe stato in grado di fornire il servizio appaltato.
Rispetto ad un tale quadro fattuale, è ritenuta ininfluente, al fine di escludere la genuinità dell’appalto, la sussistenza di un’articolata struttura organizzativa nell’ambito della società appaltatrice, essendo detta struttura pur sempre operante sotto il potere direttivo ed organizzativo della committente.

Nella specie, una volta accertata l’estraneità dell'appaltatore alla organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell’esecuzione dell'appalto, è del tutto irrilevante verificare il rischio economico e l'autonoma organizzazione dello stesso o l’effettiva operatività dell'impresa appaltatrice sul mercato, atteso che, se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò solo si deve escludere l'organizzazione del servizio ad opera dell'appaltante.

Con particolare riguardo all’appena richiamato dato del rischio di impresa, il Tribunale catanese ha anche modo di individuare un ulteriore, significativo elemento a sostegno del carattere non genuino dell’appalto, consistente nella particolare previsione, nel contratto, dei corrispettivi dei servizi forniti.

In particolare, è valorizzata la previsione contrattuale di un corrispettivo minimo garantito (c.d. “canone base”), anche in difetto di richiesta di erogazione dei volumi di riferimento da parte del committente.

La presenza, dunque, di tale garanzia minima vale ad escludere un’apprezzabile assunzione di rischio economico.

Ed anche tale ultimo inciso rappresenta un elemento non sempre sufficientemente considerato dalle corti di merito, le quali troppe volte non conferiscono il giusto rilievo a previsioni contrattuali che parametrano il corrispettivo non al risultato ottenuto ma ad altri elementi quali (ad esempio) il numero delle risorse applicate all’appalto.


contributo a cura di Luca De Simone

Legalilavoro Napoli


(Trib. Catania 4 novembre 2021)

15.12.21
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