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Il Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza del 28 ottobre consultabile al link sotto, ha disposto la nullità dei licenziamenti e la reintegrazione in servizio, con pagamento di 5 mensilità a titolo di indennità, in accoglimento integrale della domanda proposta da quattro lavoratori da noi assistiti.
I ricorrenti, dipendenti della GS s.r.l., lavoravano con mansioni di addetto all’attività di custodia, sorveglianza e fruizione di siti di proprietà della compagnia UA, utilizzatrice del servizio.
Con lettera del 14 maggio 2020, i suddetti lavoratori rivendicavano il diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti della UA, sul presupposto della violazione della normativa in materia di interposizione fittizia di manodopera e di appalto.
Per tale unica ragione venivano licenziati per giusta causa.
Preliminarmente, il Tribunale rigetta l’eccezione della difesa di parte convenuta di inammissibilità/improcedibilità del cosiddetto “rito Fornero”, fondata sul fatto che i ricorrenti sono stati assunti dalla convenuta il 1 giugno 2018 e, dunque, in data successiva al 7 marzo 2015, prevista dal d.lgs. 23/2015, quale data “spartiacque” per l’applicabilità del rito. Osserva il Tribunale che l'individuazione dei presupposti per l'applicabilità del rito Fornero rientra nei poteri-doveri del giudice, al quale compete in via preliminare verificare la compatibilità della domanda con il tipo di rito e di tutela prescelta. Nella specie, i ricorrenti, allegando la ritorsività del licenziamento loro intimato, hanno domandato applicarsi le tutele di cui all’art. 18 Statuto Lavoratori e tale prospettazione non appare, in modo evidente, pretestuosa ed artificiosamente allegata al fine di operare una non consentita scelta del rito, atteso che gli stessi hanno altresì allegato di avere anzianità convenzionale al 1 luglio 2008, circostanza che nella prospettiva attorea giustifica la scelta del rito c.d. Fornero, così come ribadito in sede di discussione orale.
Nel merito, rileva il Tribunale che la tesi della G.S. s.r.l. di abuso del diritti di difesa per aver, i lavoratori, agito nella consapevolezza dell’inesistenza dei presupposti giuridici per ipotizzare una interposizione illecita di manodopera, pur suggestiva, non può trovare accoglimento.
Invero «dal contenuto della missiva come sopra riportato emerge in modo chiaro come i ricorrenti, con toni pacati e senza porre in alcun modo in discredito la [GS] S.r.l., hanno domandato la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti di [UA] S.p.a. deducendo la violazione della normativa in materia di interposizione fittizia di manodopera e di appalto e, in particolare, del d.lgs. 276/2003 ed allegando il verificarsi di una scissione tra i formali datori di lavoro, ossia le varie società che si erano avvicendate sull’appalto, e quello effettivo, ossia prima la [...] e successivamente la [U.A.], chiedendo dunque costituirsi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con quest’ultima a decorrere dal 2004».
Con tale missiva i ricorrenti hanno esercitato una facoltà prevista e garantita dall’ordinamento giuridico italiano, ai sensi dell’art. 24 Cost., provvedendo a mettere in mora, attraverso una diffida stragiudiziale redatta da propri difensori di fiducia e sottoscritta dagli stessi lavoratori, la società che ritenevano fosse il sostanziale datore di lavoro sin dall’anno 2004, e, dunque, ben prima che l’odierna convenuta subentrasse nell’appalto e lamentando, di fatto, una condotta violativa della normativa in materia di interposizione fittizia di manodopera e di appalto posta in essere continuativamente dalla società committente.
Nulla risulta essere contestato nei confronti della società odierna resistente, la quale è unicamente l’ultimo dei datori di lavoro che si sono susseguiti nel tempo nell’appalto presso il quale hanno lavorato i ricorrenti; e d’altronde la missiva di cui sopra non è stata neppure inviata alla GS S.r.l.
Ciò che i ricorrenti hanno fatto è stato unicamente esercitare la legittima facoltà di inviare per il tramite di propri legali di fiducia una lettera di diffida alla società committente domandando la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la suddetta.
La domanda svolta nei confronti della AU S.p.a. è astrattamente legittima e potrebbe fondare la proposizione di un ricorso giudiziale, nell’ambito del quale non sussiste neppure il litisconsorzio necessario con il datore di lavoro formale, potendo i lavoratori convenire in giudizio unicamente il datore di lavoro che assumono essere effettivo e nei confronti del quale richiedono la costituzione del rapporto di lavoro.
La fattispecie ipotizzata dai ricorrenti è espressamente disciplinata dall’art. 29 del d.lgs. 276/2003, il quale stabilisce che «ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa».
L’iniziativa stragiudiziale messa in atto dai ricorrenti era, peraltro, unicamente rivolta alla rivendicazione di un diritto riconosciuto loro dall’ordinamento giuridico e non risulta finalizzata alla negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro in essere con la convenuta né risulta idonea ad elidere il vincolo fiduciario sussistente tra le parti, così come asserito dalla convenuta. Ancora, «l'esercizio legittimo del diritto di rivendicare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti della committente non può essere considerato comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia, che è alla base del rapporto di lavoro con il datore di lavoro “formale”, e costituire giusta causa di licenziamento; ancor più dal momento che tale diritto è stato esercitato con le modalità previste dalla legge ed entro i limiti della continenza formale».
Sull’abuso di diritto, il Tribunale spiega come non possa «ritenersi provato, inoltre, che l’invio di tale missiva possa integrare - come sostenuto dalla difesa di parte convenuta - un abuso del diritto dei lavoratori. Invero, non si ritiene sia sufficiente a dimostrare tale abuso la documentazione prodotta da parte convenuta circa l’esercizio dei poteri disciplinari, organizzativi e di controllo in capo alla [GS] nonché in merito al fatto che le relazioni sindacali erano intercorse con la società convenuta e non con la committente».
In conclusione, per il Tribunale, «l’esercizio del diritto di agire in via stragiudiziale per far valere una pretesa astrattamente tutelata dall’ordinamento giuridico e con mezzi e modalità previste dall’ordinamento, senza l’utilizzo di toni lesivi della reputazione e dell’immagine della società datrice di lavoro non può ritenersi condotta violativa dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. o dei canoni generali di correttezza a buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c».
Rispetto, invece, a quanto prescritto dal CCNL, il Tribunale aggiunge: “Sotto diverso profilo non risulta neppure che la condotta contestata ai ricorrenti abbia determinato un grave pregiudizio morale e materiale alla società convenuta, ai sensi del richiamato art. 48 ccnl Multiservizi. Nella lettera di licenziamento il riferimento al grave nocumento morale e materiale è del tutto generico, senza alcun concreto elemento indicatore di tale pregiudizio ed anche nella memoria difensiva le allegazioni in merito appaiono del tutto generiche e prive di concreti elementi probatori di riscontro.
Invero, il fatto che ad oggi la [G.S] S.r.l. sia percepita dai suoi interlocutori come un’impresa contestata dai suoi dipendenti è circostanza meramente allegata da parte convenuta e che non vale in ogni caso a dimostrare un grave nocumento morale in capo alla suddetta, tenuto conto, tra l’altro, che la lettera dei lavoratori non era diretta alla GS S.r.l., ma nei confronti della società committente e le rivendicazioni non erano dirette verso la GS S.r.l., ma nei confronti della società committente, non risultando alcuna specifica contestazione da parte dei lavoratori nei confronti della società convenuta all’interno della lettera del 14 maggio 2020.
Quanto poi al lamentato grave pregiudizio materiale, la difesa della società datrice di lavoro allega che, qualora i ricorrenti venissero reintegrati nel medesimo appalto, la committente revocherebbe tutti i servizi affidati. Peraltro, per come dedotto dalla stessa convenuta, tale pregiudizio non si è concretamente verificato ed è del tutto incerto, non potendo, dunque, essere ricollegato al legittimo esercizio da parte dei ricorrenti della facoltà di rivendicare la costituzione di un rapporto di lavoro con il committente.
Sulla conseguenza dell’accertata illegittimità del recesso ovvero la sua qualificazione, il Tribunale, richiamando granitica giurisprudenza di legittimità, rileva come«la stessa sequenza temporale degli avvenimenti rilevanti nella fattispecie vale a costituire presunzione grave, precisa e concordante dell’intento ritorsivo del datore di lavoro nel comminare il licenziamento per giusta causa».
Già sul piano cronologico degli accadimenti, è evidente che la missiva di recesso si pone in termini di risposta (reazione) datoriale alla posizione espressa dai ricorrenti nella lettera del 14 maggio 2020, con cui i lavoratori rivendicavano la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti della società committente UA S.p.a.
Non essendo rinvenibili, nella missiva di licenziamento, altri elementi idonei a sorreggere la determinazione di recesso, è consequenziale ritenere che la decisione aziendale di adottare il provvedimento espulsivo sia correlata univocamente alle pregresse rivendicazioni (legittimamente presentate) dai dipendenti.
Una volta escluso il motivo formalmente comunicato, ossia la sussistenza di una giusta causa di recesso connessa alla lamentata negazione del rapporto di lavoro, il licenziamento, anche in considerazione della ristretta sequenza temporale degli avvenimenti come sopra riportata, deve presumersi essere correlato all’iniziativa stragiudiziale, legittima, intrapresa dai lavoratori nei confronti della committente UA S.p.a., nonostante, peraltro, alcuna considerazione negativa venisse formulata nei confronti dell’odierna società convenuta.
In definitiva, deve ritenersi la nullità dei licenziamenti intimati in data 25 giugno 2020 nei confronti dei ricorrenti, essendo tale licenziamento da ricondursi, data l’analogia di struttura, alla fattispecie di licenziamento discriminatorio.
Sulla normativa applicabile, il Tribunale aderisce alla tesi aziendale che rilevava come data di assunzione quella del 1 giugno 2018 e non quella dell’anzianità convenzionale (luglio 2008) utile solo ai fini della conservazione degli scatti di anzianità come pure previsto nell’accordo di armonizzazione fra il ccnl Commercio e ccnl Servizi di pulizia sottoscritto ai sensi dell’art. 4 del ccnl Multiservizi tra la resistente ed i rappresentanti sindacali in sede di subentro al precedente appaltatore.
Il Tribunale, conseguentemente, ordina alla società convenuta di reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro, condannando la società suddetta al risarcimento del danno subito dai lavoratori per il licenziamento, che viene quantificato in un’indennità pari a 5 mensilità (misura minima di legge) dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
(Trib. Torino 29 ottobre 2020)
Parole chiave: Esternalizzazioni e appalti , Licenziamenti , Processo e procedura