Conseguenze dell'adibizione a mansioni superiori

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Quali sono i diritti del lavoratore chiamato a svolgere continuativamente mansioni superiori?

Troppo spesso capita che i lavoratori siano chiamati a svolgere con continuità mansioni superiori rispetto a quelle previste dal proprio inquadramento contrattuale.

«È legittimo tale comportamento da parte del mio datore di lavoro? Quali sono i diritti che posso far valere a fronte delle mansioni superiori che da tempo effettivamente svolgo?”, chiede Maria, mia cliente, dipendente di un’azienda privata.

Innanzi tutto è necessario precisare che il datore di lavoro ha il potere di adibire il lavoratore a mansioni corrispondenti a quelle del livello di inquadramento superiore.

L’art. 2103 del codice civile riconosce, per il periodo in cui il dipendente viene adibito in via esclusiva o prevalente allo svolgimento di mansioni superiori, un trattamento economico corrispondente attività effettivamente prestata.

Ma i diritti dei lavoratore non si limitano a quelli che maturano immediatamente con l'adibizione a mansioni superiori. Il datore di lavoro dovrà infatti rendere definitiva la "promozione" (salva diversa volontà da parte del lavoratore, che ha sempre il diritto di rifiutare), quando:

sia trascorso il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi e

l’assegnazione di mansioni superiori non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio.

Che fare, dunque, in questi casi?

Il suggerimento è quello di rivolgersi ad un avvocato esperto in materia, che, in primo luogo, dovrà valutare la sussistenza dei requisiti previsti dalle norme e l’effettiva corrispondenza delle mansioni svolte con quelle previste nella declaratoria delle categorie e delle posizioni economiche del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.
Una volta accertato il diritto alla promozione del lavoratore, è sempre opportuno cercare di raggiungere una soluzione per via stragiudiziale che possa essere vantaggiosa per entrambe le parti. Si tratta dell'opzione ottimale, soprattutto allorquando il dipendente si trovi in costanza di rapporto lavorativo; in ogni caso, resta possibile adire il giudice del lavoro per vedere riconosciuti i propri diritti, sia con riferimento alle differenze retributive sia con riguardo all'inquadramento.

Resta da sottolineare come, anche in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, il dipendente avrà la possibilità di richiedere all’azienda le differenze retributive e contributive che gli sarebbero spettate con il corretto inquadramento contrattuale. Si tenga però a mente che il diritto a percepire tali somme deve essere richiesto formalmente entro cinque anni!
Un professionista esperto sarà fondamentale per valutare e costruire tempestivamente la migliore strategia difensiva, anche offrendo al lavoratore preziosi consigli sulle prove necessarie e strumentali ad ottenere il giusto riconoscimento a seguito di un eventuale giudizio.

(a cura di Gianmarco Berenato - Legalilavoro Messina)

11.04.18
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