Aggiornamenti
La novità della riforma
Dopo molti anni da che se n’era cominciato a discutere, segnati da apparenti fughe in avanti seguite da clamorosi passi indietro, con la c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. 149/2022, recante attuazione della delega «per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie») viene ampliato il novero delle materie nelle quali è possibile ricorrere alla negoziazione assistita tra avvocati. Trattasi di un meccanismo di risoluzione alternativa delle controversie introdotto dal d.l. 134/2014 e sinora applicabile per diverse tipologie di controversie civili e commerciali (talvolta anche come condizione di procedibilità della domanda giudiziale). Con la Riforma Cartabia viene ora estesa l'ammissibilità della negoziazione assistita tra avvocati anche alle controversie di lavoro.
A decorrere dal 28 marzo 2023, data di entrata in vigore della normativa, si amplia così la gamma degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (o ADR - alternative dispute resolution) in materia di lavoro, che già comprendeva diverse procedure stragiudiziali (dal tentativo di conciliazione in sede amministrativa, all’arbitrato, alle conciliazioni in sede sindacale o avanti le commissioni di certificazione); in molti casi, peraltro, esse già rappresentavano nient’altro il momento conclusivo di formalizzazione di trattative informali condotte da avvocati.
Anche la negoziazione assistita rappresenta, come le altre modalità di ADR in materia di lavoro, una procedura facoltativa e non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Controversie di lavoro, accordi stragiudiziali e sedi “protette”
Le ragioni per le quali per quasi un decennio il legislatore ha escluso la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita in materia di lavoro si collegano a quelle poste a fondamento dell’art. 2113 c.c., introdotto dalla riforma del processo del lavoro che l'anno prossimo compirà mezzo secolo, e cioè la preoccupazione di fondo che il lavoratore, parte debole del rapporto, debba essere adeguatamente assistito e informato allorché compie atti di disposizione dei propri diritti. Da sempre il legislatore avverte il rischio che il lavoratore possa abdicare i propri diritti a fronte di corrispettivi inadeguati o meramente simbolici.
E infatti, come noto, ai sensi dell’art. 2113 c.c. le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo «non sono valide», nel senso che il lavoratore può impugnarle entro sei mesi dalla loro formulazione o dalla cessazione del rapporto se successiva; a meno che tali suddette rinunce e transazioni non siano raggiunte nell’ambito delle c.d. “sedi protette” previste dalla legge.
La norma pone da sempre complesse problematiche e ha generato nel corso degli anni non pochi equivoci e leggende metropolitane, come quella per cui qualunque accordo tra datore di lavoro e lavoratore deve essere sottoscritto in sede protetta a pena di nullità (un attento osservatore, qualche anno fa, aveva usato la metafora del “telefono senza fili” per rappresentare il proliferare di malintesi sulla norma).
In ogni caso, nella pratica, è raro che accordi che definiscono in via più o meno “tombale” le controversie di lavoro vengano raggiunti fuori da sedi “protette”, con mere scritture private.
In questo contesto complessivo a lungo si è ritenuto che la negoziazione assistita, che richiede la presenza dei soli legali e non di un soggetto più o meno “estraneo” alla lite quale dovrebbe essere il conciliatore, non fosse sufficiente ad offrire adeguate garanzie di effettiva assistenza al lavoratore, permanendo il rischio che lo stesso potesse essere “assistito” formalmente, ma non sostanzialmente, da un legale di comodo procurato per l’occasione dall’azienda.
Se tale preoccupazione merita attenzione e non va ridicolizzata, non potendosi escludere che, complice il progressivo impoverimento della professione, vi siano professionisti disposti ad abdicare ai propri elementari doveri deontologici e professionali per il proverbiale piatto di lenticchie (ma il rischio di disonestà vale ahinoi per molte altre figure, conciliatori inclusi), è anche vero che nella pratica ha ormai poco senso vietare alle parti, azienda e lavoratore, quando abbiano raggiunto un accordo soddisfacente, di formalizzarlo validamente con un accordo valido ai sensi dell’art. 2113 c.c.; e costringendole così a cercarsi ogni volta una sede "protetta”.
Del resto, anche le sedi “protette” si limitano di regola a verificare la genuinità del consenso del lavoratore, senza entrare nel merito dell’equilibrio dell’accordo (operazione che peraltro richiederebbe un livello di conoscenza delle fattispecie che il conciliatore non può avere).
Le ragioni dell’apertura e il carattere comunque “relativo” dell’inoppugnabilità dell’accordo
Ad ogni modo, piaccia o non piaccia, il legislatore ha oggi ritenuto che le ragioni che escludevano il ricorso alla negoziazione assistita in materia di lavoro, vale a dire i rischi cui si è fatto riferimento poc’anzi, siano superate dai benefici che derivano al “sistema giustizia” dall’introduzione di una nuova forma di ADR in materia di lavoro.
In effetti, per tranquillizzare chi ritenga invece prevalenti i rischi di cui sopra, occorre ricordare che gli accordi raggiunti tra avvocati saranno sì “inoppugnabili”, ma negli stessi termini di quelli sinora raggiungibili nelle altre sedi protette e dunque ai soli effetti di cui all’art. 2113 c.c., persistendo la possibilità, nei casi di abuso, di impugnare tale accordi secondo le norme generali, e dunque per vizio del consenso (errore, violenza, dolo) ovvero per illegittimità dell'oggetto (come nel caso in cui verta su diritti futuri) ovvero ancora per vizio di causa (come nel caso in cui difetti la "res litigiosa" ovvero il corrispettivo della rinuncia sia meramente simbolico).
Insomma, il rischio c’è, ma lo si può gestire; fermo restando che certamente tutti gli attori in campo faranno bene a prestare la massima attenzione alle caratteristiche di professionalità e specializzazione degli avvocati cui si rivolgono, dovendo in particolare il lavoratore diffidare di un legale cui non si sia rivolto spontaneamente, eventualmente tramite un’organizzazione sindacale, ma che sia stato “procurato” dalla controparte.
Le caratteristiche essenziali del procedimento e i punti di attenzione per l’avvocato “negoziatore”
Se la parte debole del rapporto dovrà stare attento nella scelta dell’avvocato, anche l’avvocato giuslavorista “negoziatore” dovrà stare ben accorto a seguire correttamente la procedura di negoziazione assistita, nell’ambito della quale deve sapere che esercita compiti e responsabilità superiori a quelli che normalmente assume allorché svolge una trattativa che si conclude con un accordo formalizzato in una diversa sede protetta.
Intanto si rammenta che è negoziabile la controversia purché non riguardi diritti indisponibili (art. 2, d.l. 34/2014), il che peraltro pone qualche punto di attenzione nel raccordo con l’art. 2113 c.c., che fa riferimento a diritti derivanti da disposizioni inderogabili. Qui si apre il tema, non sempre gestibile, della differenza tra diritti indisponibili e diritti derivati dalla lesione di diritti disponibili; per cui mentre non sarebbe negoziabile la controversia inerente il diritto alle ferie in quanto tale (irrinunciabile per precetto costituzionale), è invece negoziabile il diritto al risarcimento del danno derivante dalla loro mancata fruizione.
In secondo luogo, ma non per importanza, occorre tenere a mente che ai fini della validità (nei termini sopradetti) dell’accordo raggiunto all’esito della negoziazione, è pur sempre necessario che venga preventivamente redatta, in forma scritta a pena di nullità, un’apposita convenzione di negoziazione assistita, e che vengano quindi esperiti i passaggi previsti dalla legge.
Si segnala che esistono modelli standard redatti dal CNF, organo che ha stilato un’ampia modulistica in relazione ai vari passaggi di cui si compone la procedura: invito, adesione, convenzione, accordo.
Per gli accordi raggiunti in materia di lavoro è prevista la possibilità che vi sia anche l’assistenza di un consulente del lavoro (chi scrive ritiene, ma la norma non è chiarissima, che la presenza del consulente sia prevista in aggiunta, e non in sostituzione, del legale) e la legge richiede che l'accordo finale sia trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi di cui all'articolo 76 d.lgs. 276/2003 (vale a dire a una delle commissioni di certificazione che già costituiscono “sede protetta”).
Rispetto all’onere di trasmissione alle commissioni, misura apprezzabile nell’intento ma censurabile nel riflesso pratico, si pone il problema di capire le conseguenze della mancata trasmissione e se le commissioni di certificazione (che, va detto, con l’estensione della negoziazione assistita perdono un segmento di attività) potranno rifiutarsi di ricevere gli accordi trasmessi ovvero se, come è probabile che avvenga, chiedere un corrispettivo per l’attività di “ricezione” (e se questo debba essere dovuto, e da chi).
Occorre poi ricordare che la riforma modifica anche l’art. 2113 c.c., inserendo nella lista degli accordi “protetti” (e quindi inoppugnabili) anche quelli raggiunti all’esito della negoziazione assistita in materia di lavoro.
L’intervento non era tecnicamente scontato, e ha un impatto su tutte le numerose norme che all’art. 2113 c.c. rinviano (e non sono poche). Tra le conseguenze vi è anche l’effetto, invero dirompente –a parere di chi scrive– che anche l’offerta di conciliazione ex art. 6, d.lgs. 23/2015, che prevede come noto un notevolissimo beneficio fiscale per il lavoratore, possa essere validamente esperita nell’ambito di una negoziazione assistita tra avvocati (riflesso fiscale che si palesa assai più interessante rispetto al mero credito di imposta di 250 euro massimi previsto in generale per i costi della negoziazione assistita previsti dalla disciplina generale).
Anche dati i potenziali profili fiscali coinvolti, l’avvocato negoziatore dovrà prestare particolare attenzione in quanto si assume inevitabilmente un’ulteriore responsabilità.
Onori ed oneri, insomma, e non certo un «liberi tutti».
Parole chiave: Consulenza legale , Contratti di lavoro e diritti , Processo e procedura