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L'art. 26 del decreto "Cura Italia" (d.l. 18/2020, poi convertito con l. 27/2020) stabilisce che, sino al 31 dicembre 2021, per i lavoratori del settore privato, il periodo trascorso in "quarantena con sorveglianza attiva” o in "permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva" sia equiparato alla malattia a fini retributivi. Viene poi chiarito che tale periodo di sospensione dell'attività lavorativa non sia computabile ai fini del periodo di comporto. Si rammenta che con l'espressione "periodo di comporto" si fa comunemente riferimento al termine massimo di assenza del lavoratore (per infortunio, malattia, gravidanza o puerperio) superato il quale l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto, come previsto dall’art. 2110 c.c.
La norma, dunque, nulla prevede per il caso di malattia vera e propria dovuta al Covid-19. Se si propendesse per computarlo nel periodo di comporto, ciò determinerebbe una evidente disparità di trattamento tra soggetti in quarantena/permanenza domiciliare e soggetti contagiati.
Il problema si pone sino al 31 dicembre 2021. Dall'inizio del 2022 la quarantena è stata infatti sostituita da una forma di "autosorveglianza" per le persone guarite, e per quelle che abbiano ricevuto la dose booster o la vaccinazione completa da meno di 120 giorni. Per i non vaccinati, coloro che non abbiano completato il ciclo vaccinale primario o che lo abbiano completato da meno di 14 giorni, nonché per coloro che abbiano completato il ciclo vaccinale primario o che siano guariti da più di 120 giorni senza dose di richiamo, è stato da ultimo previsto un periodo di quarantena obbligatorio della durata di soli 5 giorni (art. 2, d.l. 229/2021, Circolare Ministero Salute 30 dicembre 2021 n 60136, Circolare Ministero Salute 4 febbraio 2022 n. 9498), non più equiparabile alla malattia (art. 8, d.l. 146/2021).
Ci si chiede quindi se, sino al 31 dicembre 2021, per il lavoratore del settore privato, che abbia contratto la malattia da Covid-19, vada sospeso o meno il calcolo del periodo di conservazione del posto di lavoro.
Una prima risposta alle incertezze applicative dell’art. 26, comma 1, è stata fornita da due recentissime pronunce della giurisprudenza di merito che, propendendo per un’interpretazione estensiva della norma in questione, hanno escluso l’incidenza della malattia da Covid-19 sul periodo di comporto.
Secondo la sentenza del Tribunale di Asti del 5 gennaio 2022, il riferimento effettuato dall’art. 26, comma 1, alle misure di quarantena e isolamento, con richiamo alle specifiche disposizioni di legge ad esse relative, deve intendersi comprensivo di tutte le misure normativamente previste nel tempo per arginare la diffusione del virus, sia quelle legate al mero contatto con casi confermati di malattia o di rientro da zone a rischio epidemiologico, sia quelle connesse alla positività al virus. La norma, infatti, mirerebbe a non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro riconducibili alle misure di prevenzione e contenimento imposte dal legislatore in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus, a prescindere dallo stato di malattia. A parere del giudice astigiano, «anche in caso di contagio con malattia, ciò che contraddistingue la malattia da Covid-19 dalle altre è l’impossibilità, imposta autoritativamente, per il lavoratore di rendere la prestazione e per il datore di lavoro di riceverla per i tempi normativamente e amministrativamente previsti, tempi che [...] prescindono dalla stessa evoluzione della malattia ma che dipendono dalla mera positività o meno al virus».
Simile lettura dell’art. 26 è stata fornita anche dal Tribunale di Palmi con provvedimento del 13 gennaio 2022. In quest’ultima pronuncia viene rilevato come la norma in questione, per individuare il periodo trascorso in quarantena o permanenza domiciliare, richiami l’art. 1 comma 2, lett. d) ed e) del d.l. 19/2020, il quale prevede da un lato la quarantena precauzionale per coloro che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia o che rientrano da aree ubicate al di fuori dal territorio nazionale; dall’altro il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena “perché risultate positive al virus”. Ne consegue che, in base a tale richiamo, non potrebbe essere valutato ai fini del superamento del periodo di comporto sia il tempo trascorso in quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti con un infetto, sia il tempo trascorso in isolamento domiciliare, disposto da un apposito provvedimento del sindaco, per coloro che sono risultati positivi al virus.
In sintesi l’orientamento giurisprudenziale sin qui formatosi mira a risolvere la potenziale discrasia nella disciplina del calcolo del periodo di comporto connessa ad un’interpretazione restrittiva dell’art. 26 che irragionevolmente escluda dal comporto la quarantena e altre situazioni di rischio ed includa invece i casi di contagio/malattia da Covid-19.
Occorre infine osservare come lo stesso Decreto Cura Italia, all’art. 87, stabilisca espressamente che il periodo trascorso “in malattia” o in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare, dai dipendenti della pubblica amministrazione, dovuta al Covid-19, sia equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e non sia computabile ai fini del periodo di comporto.
Il problema della disparità di trattamento, pertanto, si pone non solo all’interno del settore privato, tra soggetti in quarantena/permanenza domiciliare e soggetti contagiati sino al 31 dicembre 2021, ma anche nel confronto con i dipendenti pubblici, per i quali è tutt’ora previsto, senza limiti di tempo, l’equiparazione al ricovero e lo scomputo ai fini del periodo di comporto, sia delle assenze dovute alle misure di prevenzione della diffusione del virus, sia di quelle per malattia da Covid-19.
La questione sulla legittimità di tale ultima differenziazione tra settori rimane aperta, ma certo è che molti e convincenti risultano gli argomenti in favore della non computabilità ai fini del comporto della malattia dovuta a Covid-19.
contributo a cura di Cosimo Damiano Cisternino e Sara Patergnani
Legalilavoro Padova
Parole chiave: Coronavirus , Lavoro e salute , Lavoro e vita privata , Lavoro pubblico , Licenziamenti , sanità