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In una causa patrocinata da Legalilavoro, la Corte d’appello di Firenze ha affermato un interessante principio in tema del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro.
Per comprendere il principio enunciato dalla sentenza e le ragioni su cui esso poggia, occorre esporre un antefatto che non riguarda direttamente la lavoratrice in causa. Ben prima che la stessa fosse assunta, un hotel di medie dimensioni decideva di esternalizzare il servizio di pulizia delle camere, affidandolo a una ditta appaltatrice. Strumentalmente a tale operazione, veniva stipulato un accordo sindacale che prevedeva che ai lavoratori licenziati dall’hotel (in quanto addetti al servizio esternalizzato) e che sarebbero stati ri-assunti dalla società appaltatrice, sarebbe stato applicato il Ccnl Turismo-Federalberghi, contratto generalmente considerato “leader” nel settore. Un settore nel quale si sono moltiplicati, nel corso del tempo, contratti collettivi stipulati da sindacati minoritari e che prevedono condizioni lavorative e retributive meno favorevoli per i lavoratori).
Successivamente, la ditta appaltatrice assumeva una nuova lavoratrice. Non essendo in tal caso vincolata dall’accordo sindacale già citato (che espressamente valeva solo per i lavoratori che avevano già prestato opera alle dipendenze dell’hotel), l’azienda decideva di applicare alla neo-assunta un contratto collettivo meno protettivo, stipulato da sindacati minoritari.
Negli anni successivi e in un arco temporale relativamente ristretto i lavoratori, pur continuando ad occuparsi delle pulizie delle camere dello stesso hotel, venivano assunti da varie società, in conseguenza di una rapida successione di cambi di appalto. Le condizioni contrattuali, comunque rimanevano invariate, di modo che agli ex dipendenti dell’hotel continuava ad essere applicato il contratto leader. Mentre ai pochi che erano stati assunti dopo l’esternalizzazione, inclusa la lavoratrice di cui sopra, veniva applicato il contratto collettivo minoritario.
La lavoratrice decideva quindi di avviare un’azione giudiziale per ottenere l’applicazione del Ccnl Turismo-Federalberghi, o almeno il trattamento economico minimo complessivo garantito dello stesso. L’hotel è convenuto in giudizio come responsabile in solido dei crediti retributivi (art. 29, d.lgs. 276/2003), in quanto committente degli appalti entro i quali la lavoratrice ricorrente era impiegata.
La domanda della lavoratrice veniva respinta in prima istanza dal Tribunale di Arezzo, ma poi venva accolta dalla Corte d’appello di Firenze in sede d’impugnazione. La Corte fiorentina ha riconosciuto la fondatezza della tesi difensiva della lavoratrice fondata sull’interpretazione del secondo comma dell’art. 2070 c.c., il quale prevede che «se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività». Secondo la Corte d’appello tale norma, implicitamente, esclude la possibilità di applicare Ccnl diversi a lavoratori che siano addetti alla stessa attività, o addirittura alle stesse mansioni. Ciò che accadeva nel caso di specie, in cui la lavoratrice percepiva un trattamento normativo ed economico nettamente inferiore rispetto ai colleghi e alle colleghe.
Alla lavoratrice sono quindi state riconosciute le differenze tra la retribuzione che le sarebbe spettata e quella percepita. In questo senso, la sentenza appare di grande attualità, enunciando un principio utile a delimitare le possibilità, per il datore di lavoro, di scegliere il contratto collettivo applicabile ai rapporti di lavoro. Sul diverso e limitato profilo retributivo è intervenuta di recente la nota sentenza Cass. 2 ottobre 2023, n. 27713. La pronuncia qui in esame, tuttavia, disponendo la necessaria e integrale applicazione di un contratto collettivo (e non solo del trattamento economico minimo), ove ricorrano determinate condizioni (ovvero nel caso di applicazione di più ccnl all’interno della stessa azienda) segna un ulteriore passo in avanti per contrastare ingiuste disparità di trattamento tra i lavoratori ed il ricorso a contratti collettivi minoritari (quando non addirittura "pirata”). Ciò pur dovendosi affermare, come fa la stessa Corte d’appello nella sentenza in esame, che nel nostro ordinamento non esiste un “diritto alla parità di retribuzione a parità di mansioni” svolte. La pronuncia in esame è in linea con decisioni analoghe: ma si tratta per lo più di sentenze risalenti nel tempo.
a cura di Massimo Rusconi
Legalilavoro Firenze
(A. Firenze 22 dicembre 2023)
Parole chiave: Contratto collettivo , Esternalizzazioni e appalti , responsabilità solidale , Retribuzioni , Sindacato e contratto collettivo