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La Presidente del Consiglio, spiazzata dagli ampi consensi registrati dai sondaggi a favore del salario minimo legale, nel tentativo di arginare una valanga che potrebbe fortemente compromettere la sua popolarità, con i suoi alleati di governo sembra voglia farsi paladina della contrattazione collettiva in alternativa al salario minimo per legge: dovrebbe, però, in tal caso affermare di ritenere giusto che, nel caso in cui un contratto collettivo lo preveda, sia lecito lavorare a tempo pieno per meno di 700 euro netti al mese. Questo fenomeno, infatti, riguarda certamente i cd. “contratti pirata”, che vengono inventati - e applicati da datori di lavoro spregiudicati - all’unico scopo di ridurre i diritti economici e normativi dei lavoratori e delle lavoratrici; ma può, purtroppo, coinvolgere anche contratti collettivi sottoscritti da associazioni sindacali maggiormente (e comparativamente) più rappresentative. È, perciò, con un certo imbarazzo che abbiamo assistito, negli ultimi anni, a pronunce dei giudici del lavoro di numerose città che hanno accertato come “tariffe sindacali” fissate, per determinati settori, da organizzazioni sindacali “genuine”, fossero al di sotto della soglia di povertà, e conseguentemente in contrasto con l’art. 36 della Costituzione che impone che qualsiasi retribuzione sia idonea a garantire un’esistenza libera e dignitosa.
Ma la novità degli ultimi mesi è l’intervento della magistratura penale, che ha ravvisato gli estremi di un vero e proprio reato in tale condotta: le cifre indicate nel decreto del Gip di Milano del 19 giugno 2023 a proposito delle retribuzioni del contratto collettivo Servizi di vigilanza e fiduciari parlano da sole : «il livello D del CCNL prevede una paga oraria di 5 euro e 37 centesimi che, moltiplicata per il numero di ore contrattualmente previste in 173 porta la retribuzione mensile a 930 euro al lordo delle ritenute previdenziali e fiscali, applicando le quali si arriva a una cifra netta di 650 euro, somma da ritenersi assolutamente sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto (articolo 36 della Costituzione)».
Qualunque sarà l’esito di questo procedimento, è sicuramente giunto il momento che sia la stessa legge civile a statuire che pagare un proprio dipendente al di sotto di una certa soglia (individuata, nella proposta di legge unitaria delle opposizioni, in 9 euro lordi, importo certo non eccessivo) costituisce un comportamento illegale. E tale principio deve valere per qualunque datore di lavoro, sia esso anche una cooperativa.
Il timore che la contrattazione collettiva ne possa risentire è del tutto infondato: i sindacati non dovranno più esaurire tutto il loro potere contrattuale nel tentativo di conquistare qualche briciola di salario e potranno dedicarsi a negoziare, ove possibile, ulteriori aumenti e comunque il miglioramento di altri e non meno importanti istituti contrattuali. Le aziende e le cooperative che fondano la loro ragion d’essere esclusivamente sull’offerta di manodopera a basso costo, lasceranno il posto, secondo le invocate – dalla destra – “regole del mercato”, a imprese più virtuose, elevando così non solo la qualità di vita dei propri dipendenti, ma anche quella dei servizi offerti.
E qualunque ragazzo/a pagato/a cinque euro all’ora dal gestore del bar presso cui lavora (più o meno in nero), per ottenere una paga dignitosa non dovrà più intraprendere una causa giudiziaria, ma potrà semplicemente rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro, tenuto a far rispettare la legge in via amministrativa.
Alberto Piccinini
Legalilavoro Bologna
Parole chiave: Esternalizzazioni e appalti , persone e dignità , Professionalità e mansioni , Retribuzioni , Retribuzioni , Sindacato e contratto collettivo