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La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di permessi ex l. 5 febbraio 1992, n. 104, riconoscendo che il lavoratore può fruire dei permessi per garantire l’assistenza al familiare disabile, senza però dover sacrificare le proprie esigenze personali o familiari.
L'art. 33, comma 3, secondo cui il lavoratore per assistere il familiare disabile «ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa», presuppone che vi sia l'esistenza di un diretto e rigoroso nesso causale tra la fruizione del permesso e l'assistenza alla persona disabile. La Cassazione nelle precedenti pronunce aveva escluso sia la necessità di automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all'assistenza in relazione all'orario di lavoro, sia la possibilità di fruire i permessi in funzione "meramente compensativa" delle energie impiegate dal dipendente per l'assistenza fornita in orario extra-lavorativo.
Con l’ordinanza in commento la Cassazione, compiendo un ulteriore passo in avanti, ha affermato che non incorre in abuso del diritto, e dunque in un comportamento censurabile, il lavoratore che durante la fruizione del permesso svolga l'attività di assistenza in tempi e modi tali da soddisfare in via preminente le esigenze ed i bisogni del familiare, senza però rinunciare del tutto alle proprie esigenze personali e familiari; anche a prescindere dall'esatta collocazione temporale in cui effettui tale attività di assistenza.
a cura di Floriana Nasso
Legalilavoro Roma
(Cass. 13 marzo 2023, n. 7306)
Parole chiave: Contratti di lavoro e diritti , disabilità , Lavoro e salute , Lavoro e vita privata , persone e dignità