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Il Tribunale di Torino nella sentenza consultabile in calce, ha accolto il ricorso di una lavoratrice assistita da Legalilavoro. Il giudice ha rilevato l’esistenza di una ipotesi di interposizione illecita di manodopera e ha accertato l’intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la ricorrente e la società appaltante.
La pronuncia in commento è di particolare interesse nella parte in cui, nel rigettare le eccezioni di litispendenza, continenza e decadenza spiegate dalla società resistente, procede ad una compiuta disamina dei relativi istituti.
La ricorrente aveva introdotto il giudizio innanzi al Tribunale di Torino (pendente altro e separato giudizio in Cassazione) a seguito del rigetto delle domande in entrambi i precedenti gradi da parte del Tribunale e della Corte di appello di Bologna, aventi ad oggetto la medesima domanda di interposizione illecita di manodopera e di costituzione di un rapporto di lavoro con la resistente.
Le ragioni della proposizione del nuovo giudizio stavano in alcune nuove circostanze medio tempore verificatesi e che giustificavano l’accoglimento delle domande.
In particolare, nelle more del primo giudizio: tra società appaltatrice ed appaltante era intervenuto nuovo contratto di appalto; la ricorrente era stata assegnata ad altro servizio, con svolgimento di nuove mansioni; in forza di pronuncia giudiziaria altri dipendenti della appaltatrice erano transitati alle dipendenze della società appaltante, mentre la ricorrente aveva continuato a svolgere le stesse mansioni svolte dai colleghi assunti dall’appaltante.
La resistente, dunque, aveva eccepito la litispendenza, ritenendo il secondo giudizio identico, per petitum e causa petendi a quello pendente in Cassazione. In subordine, la continenza, avendo ad oggetto il giudizio pendente in Cassazione un periodo di tempo più ampio. In via sempre preliminare, la decadenza ex art. 6, l. 604/66, non avendo la ricorrente impugnato l’interruzione del rapporto di lavoro frattanto intervenuta con l’appaltante/resistente.
Il Tribunale torinese ha disatteso l’eccezione di litispendenza per una serie di ragioni di seguito sinteticamente elencate.
Anzitutto, correttamente ha ricordato che «non sussiste litispendenza fra due cause fra le stesse parti quando esse pendano in gradi diversi, potendo in tale caso ricorrere, eventualmente, un’ipotesi di sospensione del processo ex art. 295 cod. proc. civ.».
In ogni caso, il Tribunale ha accolto le tesi difensive della lavoratrice laddove ha ritenuto la domanda fondata su fatti nuovi, precisando sul punto che «nei rapporti di durata, oggetto del giudicato (o della causa pendente) è l’unico rapporto giuridico continuato e non gli effetti verificatisi nei singoli periodi del suo svolgimento, onde il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro e, pertanto, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti alla nuova decisione di questioni già risolte con provvedimento definitivo, che esplica efficacia anche nel tempo posteriore alla sua emanazione (cfr, ex plurimis, Cass., n. 3230/2001; 4304/2001; 4173/2001; 5448/2001) con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento».
E nel caso di specie, era incontestata in giudizio l’esistenza dei fatti nuovi dedotti dalla lavoratrice, con particolare riguardo alla intervenuta assunzione da parte della resistente di colleghi della lavoratrice già dipendenti dell’appaltatrice e dell’assegnazione alla ricorrente di nuove e diverse mansioni.
Quanto, poi, alla eccezione di continenza, anche questa è stata rigettata dal Tribunale di Torino, secondo il quale «non pare potersi affermare la continenza del procedimento originato a Bologna, rispetto a quello oggetto del presente giudizio, per il solo fatto che il petitum della causa più risalente è più ampio, sotto il profilo temporale, rispetto a quello oggetto di causa, sia perché anche in questo caso deve obiettarsi che le cause pendono in gradi diversi (Cass. civ. Sez. III Ord., 21/09/2007, n. 19525) sia perché anche la continenza presuppone l’identità della causa petendi. Con riferimento al rapporto di durata, anche la continenza ex art. 39 c.p.c., così come la litispendenza, deve essere apprezzata con riferimento ai fatti costituitivi della domanda, che nel caso di specie differiscono totalmente, radicandosi in periodi della prestazione lavorativa del tutto differenti».
Dunque, oltre alla questione della pendenza dei due giudizi in gradi diversi, l’eccezione non ha trovato accoglimento anche qui in ragione della circostanza che i fatti costitutivi della domanda risultavano diversi.
Come detto, la resistente agitava anche eccezione di decadenza, per non avere la lavoratrice impugnato l’interruzione del rapporto di lavoro con l’appaltante. Anche tale eccezione è stata disattesa, sulla scorta della, semplice e condivisibile, deduzione secondo la quale «se in costanza di adibizione della lavoratrice all’appalto, quest’ultima agisce per ottenere la costituzione del rapporto di lavoro in favore dell’appaltatore e successivamente viene meno l’adibizione all’appalto, appare superfluo imporre alla lavoratrice un nuovo onere di contestazione del provvedimento di cessazione di adibizione all’appalto, venendo meno l’esigenza “di evitare che un possibile contenzioso, attivabile dal lavoratore, possa rimanere latente per tutto il tempo di prescrizione dell'azione di annullamento ovvero per un tempo lungo e indefinito in caso di azione di nullità” e, più in generale di “far emergere in tempi brevi il contenzioso sull'atto datoriale” (Corte Cost. n. 212/2020), poiché in questo caso sono già sub iudice i fatti costitutivi della domanda ex art. 29 co. 3 bis d.lgs. 276/2003».
Infine, delibando il merito della controversia, il Tribunale non esita ad accogliere le domande formulate, motivando la pronuncia con argomentazioni che ormai possono ritenersi acquisite alla giurisprudenza, di merito e di legittimità, formatasi in punto di appalto illecito di manodopera.
In particolare, vale la pena menzionare quei passi di sentenza secondo i quali «nel caso in cui il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto sia invece svolto dall'appaltante, potrà configurarsi un appalto illecito, ovvero una somministrazione irregolare [...] nell'interposizione illecita le disposizioni impartite devono essere riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, e non al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (v. Cass. 12/4/2018 n. 9139). Un orientamento consolidato della Corte di Cassazione (Cass. nn. 15557/2019, 27213 del 26/10/2018, 7820/2013, 15693/2009, 1676/2005), afferma che per individuare la linea di demarcazione tra la fattispecie vietata dell'esistenza di una interposizione illecita di manodopera e quella lecita dell'appalto di opere o servizi, è necessario che il giudice accerti che all'appaltatore sia stato affidato un servizio ed un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso la reale organizzazione e gestione autonoma della prestazione, con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo, con l'impiego di propri mezzi da parte dell'appaltatore e sempre che sussista un rischio di impresa in capo all'appaltatore».
Dunque, come da approdo ormai stabile della giurisprudenza, occorre effettuare un accertamento complesso mirato alla fattispecie concreta e particolare, soprattutto quando si tratta di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), attraverso un’attenta verifica dell'organizzazione aziendale e delle modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, tenendo presente tutte le condizioni (servizio autonomo, organizzazione autonoma, esercizio potere direttivo, rischio d'impresa) richieste ai fini della legittimità dell'appalto dell’art. 29 d.lgs. 276/2003 e dall’art. 1655 c.c. che esso richiama.
Da ultimo, la pronuncia in commento cita Cass. 25 giugno 2020 n.12551 che «ha ritenuto che l’assenza di un referente, ovvero un preposto responsabile col compito di sovraintendere i lavori e dirigere i lavoratori ai sensi del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29, la ricezione direttamente dal personale della committente delle indicazioni sul lavoro da svolgere, l’impiego da parte dei lavoratori ricorrenti di beni strumentali essenziali forniti dalla committente, l'utilizzo del badge d'ingresso, l’assoggettamento alla registrazione dell'orario di lavoro da parte della committente integrano una serie complessa di elementi indiziari i quali confermano che gli stessi lavoratori fossero per intero calati all'interno della complessa organizzazione della committente rimanendo totalmente assoggettati al potere di controllo e direttivo della medesima committente» ritenendo, infine, sussistenti nel caso di specie detti indizi di carenza di organizzazione effettiva del lavoro della ricorrente da parte del titolare apparente del rapporto di lavoro.
contributo a cura di Luca De Simone, Legalilavoro Napoli
(Trib. Torino 13 luglio 2021)
Parole chiave: Esternalizzazioni e appalti , Prescrizione e decadenza , Processo e procedura